Il sempione strizza l’occhio al frèjus: attesa e progetto della città ideale in Elio Vittorini

Numero73
Autori
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Sharmistha Lahiri
TitoloIl sempione strizza l’occhio al frèjus: attesa e progetto della città ideale in Elio Vittorini
ISBN978-88-6065-080-1
Volume rilegato collezionabile
€ 25,00
GenereNarrativa
LinguaItaliana
N. Pagine29
N. Illustrazioni0
EdizioneNovembre 2011

Elio Vittorini dichiarò una volta che se avesse dovuto scegliere uno dei suoi libri per essere salvato, quel libro sarebbe stato Il Sempione strizza l’occhio al Fréjus. Cambiò idea poi a favore del suo capolavoro Conversazione in Sicilia ma, se privilegiava Il Sempione prima, era perché pensava possibilmente di aver trovato con quel libro la parola giusta ossia la migliore soluzione letteraria per esprimere la realtà sociale in modo poetico. In questo saggio si esamina come in tale romanzo, attraverso simboli e metafore, Vittorini si accinga ad elaborare un progetto della città ideale che sia costruita a misura dell’uomo, pianificata a rispondere alle esigenze del lavoro e della vita sociale contemporanea. Un tale oggetto letterario viene costruito dallo scrittore sullo sfondo realistico della situazione economico-sociale del periodo del dopoguerra in Italia, e viene inoltre trattato in stile fiabesco, con un linguaggio profondamente lirico, intriso di miti e di simboli. Si presenta il ‘nonno-elefante’, il vecchio lavoratore che è dolce e massiccio come un pachiderma gigantesco, mentre ‘Muso-di-fumo’ è il nuovo operaio dell’età industriale-tecnologica che, quale Orfeo redivivo, sa ‘ammansire le belve’, suonando il suo zufolo, e riesce così a stabilire un rapporto reciproco e amichevole con tutti, compreso il nonno. Il ‘nonno-elefante’ rappresenta la vecchia cultura umanistica — simile ad un animale dell’età preistorica — che deve morire per rinascere in una forma adatta a convivere con la civiltà armoniosa che scienza ed industria possano un giorno finalmente costruire. Si analizza dunque come nel romanzo la città che si attende non sia già stata, ma sia da fondare piuttosto, come uno spazio del collettivo in cui si celebra a pieno la dignità del lavoro e in cui si conserva, nei monumenti del passato, un lungo e felice ricordo dell’operosità umana.

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